
La “famiglia nel bosco” è diventata la nuova ossessione dei complottisti
Una vicenda che meriterebbe riservatezza e cautela, visto il coinvolgimento di minori, è invece entrata nel dibattito pubblico tra disinformazione e propaganda politica
Fino a che punto i genitori possono scegliere come crescere i propri figli e le proprie figlie? È una domanda che da giorni è al centro del dibattito pubblico italiano, scatenata da un caso di cronaca, “la famiglia nel bosco”, che ha mosso media e politica, soprattutto la destra.
Il 20 novembre 2025 è stato eseguito un provvedimento del Tribunale per i minorenni dell’Aquila che ha disposto la sospensione della responsabilità genitoriale e l’allontanamento dei tre figli da una famiglia anglo-australiana residente a Palmoli, in provincia di Chieti, rinominata dai media “la famiglia nel bosco”. La decisione dei giudici è stata motivata dalle condizioni in cui i genitori Nathan Trevallion e Catherine Birmingham hanno scelto di vivere: un’abitazione isolata in campagna, priva di servizi essenziali, senza un impiego e senza iscrivere i figli a scuola, sostenendosi principalmente con ciò che coltivano, attingendo l’acqua da un pozzo e producendo energia attraverso alcuni pannelli solari.
La vicenda era arrivata alla procura minorile dell’Aquila l’anno scorso, dopo il ricovero in ospedale dei bambini per un’intossicazione da funghi. Il successivo sopralluogo dei carabinieri nell’abitazione aveva portato a una segnalazione e alla sospensione della responsabilità genitoriale, pur lasciando i minori in famiglia. Con il nuovo provvedimento, invece, i bambini sono stati allontanati e accolti in una comunità di accoglienza per minori insieme alla madre, mentre il padre, Nathan Trevallion, è rimasto nella loro abitazione a Palmoli. Per provare a riportare i figli a casa, il primo dicembre 2025 Trevallion ha preso possesso di una nuova casa, offerta da un ristoratore, anche questa realizzata in pietra, su un solo piano, in una zona verde alla periferia di Palmoli che dal vecchio casolare nel bosco dista appena 3 km, ma considerata sicura.
Una vicenda delicata, che meriterebbe riservatezza e cautela, visto il coinvolgimento di tre minori, ma che è, invece, entrata nel dibattito pubblico e politico, soprattutto della destra. È stata, infatti, proprio la Lega di Matteo Salvini a far diventare questa storia un caso di rilievo nazionale. Tra il 21 e il 24 novembre, i profili social della Lega e del suo segretario hanno diffuso almeno quindici post dedicati alla vicenda in cui chiedevano di «riportare quei bambini tra le braccia di mamma e papà».
A quel punto era intervenuta anche la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, che si era allineata alle posizioni di Salvini, facendo sapere di aver chiesto al ministro della Giustizia, Carlo Nordio, di inviare degli ispettori. Si tratta di una procedura cui il ministro ricorre quando ritiene che in un tribunale o in una procura possano esserci irregolarità o decisioni particolarmente controverse.
Intanto più di 150 mila persone hanno firmato una petizione online per chiedere che la famiglia possa rimanere unita, evidenziando come, dal loro punto di vista, il sistema stia «ingiustamente perseguitando questa meravigliosa famiglia» e reclamando di tenere «giù le mani dalla famiglia che vive nel bosco!». In aggiunta è stato organizzato, per il prossimo 6 dicembre, un sit-in a Roma, in sostegno alla famiglia e per protestare contro il provvedimento. Arianna Fioravanti, docente di Lettere, sta promuovendo l’iniziativa ricordando come l’istruzione parentale sia pienamente legittima e riconosciuta dal sistema italiano, oltre a sottolineare l’ingiustizia del provvedimento.
L’enorme condivisione di contenuti sulla “famiglia del bosco”, sia sui media ma anche sui social media, la presa di posizione di personaggi più o meno famosi e la strumentalizzazione politica, hanno inevitabilmente portato alla circolazione di teorie del complotto, informazioni non verificate e ricostruzioni fuorvianti presentate come fatti certi. Un insieme eterogeneo di voci e supposizioni che ha finito per alimentare ulteriore confusione su una questione già di per sé delicata.
La decisione dei giudici
La retorica utilizzata dalla destra ha, in molti casi, attaccato i giudici che hanno disposto l’allontanamento dei tre figli della “famiglia nel bosco”, parlando di accanimento e addirittura di «sequestro», contribuendo a diffondere ricostruzioni imprecise e affermazioni infondate sulla questione.
I colleghi di Pagella Politica hanno fatto ordine sulle motivazioni che hanno spinto i giudici ad allontanare i tre bambini dalla propria abitazione e dai genitori. Prima di tutto è importante sottolineare che non si tratta di una decisione arrivata all’improvviso e del tutto fuori contesto. Come riportato nell’ordinanza del Tribunale per i minorenni datata 13 novembre 2025, la situazione della famiglia era «giunta a conoscenza del Servizio Sociale a seguito dell’accesso al pronto soccorso della famiglia» per un’intossicazione alimentare causata da funghi raccolti nel bosco. Quell’accesso ospedaliero ha fatto scattare la prima segnalazione ai servizi sociali, come previsto dalla legge per i casi in cui un minore possa trovarsi in pericolo. Se un bambino arriva in ospedale per ingestione di sostanze tossiche, infatti, il personale sanitario è obbligato ad accertare se i fatti costituiscano un reato perseguibile d’ufficio ed eventualmente segnalare eventuali reati o condizioni di rischio alla Procura o al Tribunale per i minorenni, come previsto dal codice penale.
La fase cautelare del procedimento è partita, appunto, da questo tipo di segnalazione. Il Tribunale per i minorenni non ha disposto l’allontanamento immediato, ma ha seguito un percorso graduale: il 23 aprile 2025 ha emesso un primo decreto provvisorio, confermato poi il 22 maggio. L’obiettivo era valutare se la situazione familiare fosse recuperabile. Per questo i bambini sono stati affidati ai servizi sociali, che hanno preso in carico le decisioni su collocamento e cure, pur lasciandoli in casa, monitorando quotidianamente alloggio e salute dopo l’intossicazione.
Tra primavera e autunno 2025, il percorso di sostegno del Tribunale per i minorenni ha mostrato segni di crisi. Nonostante le dichiarazioni di collaborazione dopo l’udienza di maggio, la relazione del 14 ottobre segnala che i genitori hanno bloccato le visite, impedendo ai servizi sociali di verificare le condizioni dei figli e rifiutando di «partecipare alle attività di supporto alla genitorialità, senza partecipare ad alcun incontro», come si legge nell’ordinanza del 13 novembre. L’istituzione ha così trasformato il sostegno in un intervento di protezione. Per i giudici l’ostruzionismo dei genitori ha dimostrato l’incapacità di anteporre i bisogni dei bambini alle proprie convinzioni.
All’udienza del 28 ottobre, i minori, ascoltati insieme alla madre per le difficoltà con l’italiano, hanno mostrato un forte isolamento, al punto da non riuscire a interagire fuori dalla famiglia. Questo quadro, secondo il tribunale, ha confermato la loro vulnerabilità e portato alla decisione di allontanarli.
Nella valutazione del Tribunale per i minorenni ha pesato anche la situazione abitativa in cui viveva la famiglia, descritta come «disagevole e insalubre» in quanto l’abitazione era un «rudere fatiscente e privo di utenze», oltre al fatto che i bambini erano «privi di istruzione e assistenza sanitaria», non avevano un pediatra e non frequentavano la scuola. L’ordinanza del Tribunale ricorda che, secondo il Testo unico dell’edilizia, un edificio deve rispettare requisiti di agibilità come sicurezza strutturale, impianti a norma e salubrità, con attenzione all’umidità che può provocare problemi polmonari. Nel caso della casa della famiglia, mancavano tutti questi elementi, con rischi aggiuntivi per terremoti e possibili incendi da fonti di calore improvvisate. La legge considera queste carenze come un «pericolo per l’incolumità e l’integrità fisica dei minori».
Inoltre, il provvedimento affronta anche l’aspetto educativo e psicologico, precisando che non è l’istruzione parentale a essere contestata, ma l’assenza di socializzazione. In Italia l’homeschooling, cioè lo studio in casa, è consentito solo rispettando requisiti formali e dimostrando annualmente i livelli di apprendimento. I giudici hanno rilevato che i genitori non hanno fornito la documentazione prevista e che il certificato della scuola privata della figlia maggiore non risulta notificato alla dirigente scolastica. L’ordinanza chiarisce che il provvedimento non riguarda il diritto all’istruzione, ma il diritto alla vita di relazione dei minori, sancito dall’articolo 2 della Costituzione, che tutela i diritti inviolabili dell’individuo anche nelle formazioni sociali in cui cresce.
Sempre i colleghi di Pagella Politica hanno chiarito che l’ordinanza segna il passaggio dalla fase cautelare alla sospensione della responsabilità genitoriale, con il collocamento dei bambini in una casa-famiglia sotto la gestione dei servizi sociali e di un tutore nominato dal giudice, mentre i rapporti con i genitori vengono regolati da un soggetto terzo per garantire sicurezza e tutela. Il provvedimento, trasmesso anche alle autorità consolari del Regno Unito e dell’Australia, Paesi d’origine dei genitori, mira a verificare l’eventuale coinvolgimento di parenti idonei a supportare il percorso dei minori.
L’avvocato della famiglia ha inizialmente contestato le ricostruzioni, definendole falsità, e annunciato la presentazione di un ricorso puntando a far riunire i bambini con i genitori, inizialmente in un ambiente protetto, e successivamente nella casa nel bosco dopo interventi strutturali come il bagno e le camere da letto. Successivamente, però, lo stesso avvocato ha lasciato l’incarico smettendo di seguire la coppia anglo-australiana per i troppi no ricevuti alle soluzioni proposte finora. Anche in passato i due genitori si erano opposti all’intervento dei servizi sociali e lo scorso anno Catherine Birmingham era partita con i figli per Bologna, rendendosi irreperibile per alcuni mesi per timore che le venissero sottratti i figli.
La presidente dell’Ordine degli Assistenti Sociali, Barbara Rosina, ospite della trasmissione Otto e Mezzo andata in onda su La7 il 26 novembre 2025, ha definito «la strumentalizzazione della sofferenza di famiglie e le difficoltà di bambini a fine politico» come «veramente inconcepibile e intollerabile», chiarendo che bambini e bambine «hanno il diritto» di essere inseriti in ambiente scolastico, a una vita di socializzazione, e di crescere insieme ai loro pari, potendo scegliere i propri amici.
Teorie del complotto e notizie false che si intrecciano in questa storia
Le notizie false non riguardano soltanto la ricostruzione della vicenda, ma si intrecciano anche con le convinzioni espresse dai genitori nel tempo e con i molti racconti circolati sui social a proposito della famiglia. In questo intreccio di narrazioni, fatti non verificati, interpretazioni distorte e teorie personali hanno finito per alimentarsi a vicenda, contribuendo a un quadro ancora più confuso.
L’episodio che per primo ha portato i servizi sociali a occuparsi della famiglia, cioè l’intossicazione causata dall’ingestione di funghi velenosi, era stato accompagnato da alcune dichiarazioni particolarmente controverse di Nathan Trevallion e Catherine Birmingham. Dopo che la famiglia era stata attenzionata dal Servizio sociale e il tribunale aveva disposto una serie di visite mediche obbligatorie, i due avevano rifiutato la collaborazione avanzando una richiesta estrema: avrebbero accettato gli accertamenti solo in cambio di 50 mila euro per ciascun figlio, per un totale di 150 mila euro. L’ormai ex avvocato della famiglia, Giovanni Angelucci, ha spiegato a Fanpage che si trattava di una provocazione poiché non c’era «intenzione di lucrare sui propri figli, volevano affermare un diritto», aggiungendo che i soldi richiesti erano «una sorta di cauzione». Nella stessa intervista Angelucci ha aggiunto che la loro provocazione era: «voi trattate i nostri figli come merce o cavie da laboratorio? Noi vogliamo garanzie». Il Tribunale aveva disposto una consulenza di neuropsichiatria infantile e alcuni esami del sangue per i bambini, ma la reazione dei genitori appare più vicina a una visione complottista del sistema sanitario che a una semplice «provocazione».
Accanto a queste dichiarazioni della famiglia, non è mancato il filone di disinformazione sanitaria che attribuisce l’allontanamento dei figli a una presunta vendetta della «dittatura sanitaria», sostenendo che il Tribunale abbia preso questa decisione perché i bambini non hanno completato il ciclo vaccinale obbligatorio. L’ex avvocato Angelucci aveva spiegato che i bambini erano stati sottoposti al primo ciclo di vaccini obbligatori e che mancava il richiamo, «perché i bambini non vanno a scuola».
Una narrazione che si intreccia con altre convinzioni espresse dagli stessi genitori, che ai giornalisti avevano spiegato la scelta di non avere l’allaccio all’acqua corrente sostenendo di voler evitare il cloro, ritenuto da loro dannoso «per il nostro corpo». Innanzitutto è importante sottolineare che bere acqua del rubinetto è sicuro per la salute perché l’assenza di rischi per i consumatori è garantita dai controlli previsti dalla normativa. Spesso gli enti pubblici ricorrono al cloro per disinfettare l’acqua potabile. Questa sostanza, nelle forme di ipoclorito di sodio o biossido di cloro, viene utilizzata perché è efficace nell’eliminare batteri come enterococchi ed Escherichia coli ed è attiva anche contro spore e virus, tra cui la legionella. La quantità di cloro presente nell’acqua deve comunque essere monitorata per evitare effetti nocivi sulla salute. L’ipoclorito di cloro in forma liquida utilizzato per la disinfezione è assolutamente innocuo se utilizzato entro i limiti consentiti. I valori stabiliti limitano le concentrazioni della sostanza e di alcuni suoi derivati entro livelli sicuri per l’essere umano e fanno da riferimento per il controllo delle analisi e delle caratteristiche dell’acqua potabile.
La disinformazione tuttavia non è arrivata solo dagli stessi protagonisti della vicenda. Dopo che la vicenda della “famiglia nel bosco” è entrata nel dibattito pubblico, hanno iniziato a circolare alcuni video che collegano il progetto di un presunto grande parco eolico previsto nella zona in cui la famiglia vive al rifiuto di alcune famiglie proprietarie di terreni nella zona, tra cui loro, di vendere i terreni. Contenuti di questo tipo, condivisi anche da personaggi in vista come l’ex europarlamentare, eletta da indipendente nella Lega, Francesca Donato ed enfatizzati da media nazionali come Il Giornale d’Italia, mirano a suggerire che l’allontanamento dei figli sia una sorta di ritorsione per la loro opposizione al progetto, nonostante non esista alcun documento che confermi una dinamica del genere.
Spunta un’altra verità: il bosco di Palmoli dove si trova il casolare della famiglia Trevallion fa parte di un’area oggetto di un progetto per la realizzazione di un parco eolico. Ovviamente, la presenza di residenti ostacola il piano. pic.twitter.com/dtFOdpqDfO
— Francesca Donato (@ladyonorato) November 23, 2025
In realtà si tratta di una correlazione che non ha niente di reale. Chiaro Quotidiano, quotidiano online abruzzese, ha spiegato in un articolo del 25 novembre che si tratta di una «bufala complottista». Secondo il giornale, il progetto citato è stato presentato al ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica il 28 novembre 2023 – e non nel 2024 come sostenuto ad esempio dal Giornale d’Italia – ed è tuttora in fase di valutazione. Prevede l’installazione di undici turbine eoliche, due delle quali nel comune di Palmoli: la più vicina alla casa della famiglia Trevallion-Birmingham dista oltre 8 chilometri, ben lontano da qualunque eventuale coincidenza territoriale. La distanza si riduce a circa 3 chilometri solo considerando la turbina più prossima, situata però nel territorio di Tufillo, un altro comune.
Sempre secondo Chiaro Quotidiano nessuno degli altri progetti in quella zona, cioè ben 71 aerogeneratori in 16 comuni, prevede impianti più vicini alla casa della famiglia, e la normativa richiede solo alcune centinaia di metri di distanza dalle abitazioni, molto meno dei 3 chilometri citati. Da anni, inoltre, la comunità di neoresidenti tra Palmoli, Tufillo e San Buono affianca i sindaci nella contestazione dell’espansione eolica nel Vastese con osservazioni tecniche e documentate, diverse dalle ricostruzioni fuorvianti circolate sui social.
L’ossessione della destra, dal “caso Bibbiano” alla “famiglia nel bosco”
Come ha spiegato il giornalista Leonardo Bianchi nella sua newsletter “Complotti”, sulla vicenda della “famiglia nel bosco” si è sviluppato un vero e proprio universo narrativo alternativo, che in parte richiama la campagna mediatica esplosa nel 2019 attorno all’inchiesta sui presunti affidi irregolari di Bibbiano e della Val d’Enza.
Il “caso Bibbiano”, ossia l’inchiesta “Angeli e Demoni” della Procura di Reggio Emilia riguardante casi di affidi familiari a opera dei servizi sociali della provincia, sconvolse il dibattito pubblico e divenne rapidamente un caso con forti ricadute politiche. Nonostante nel processo siano cadute quasi tutte le accuse, la parola “Bibbiano” continua richiamare immagini di un mondo inquietante, popolato da pedofili che abusano dei bambini per motivi economici o ideologici, protetti, secondo le narrazioni circolate, da politici del Partito Democratico e da una stampa compiacente che nasconderebbe la verità.
Bibbiano è stata strumentalizzata a fini politici da destra, gruppi complottisti, movimenti ultracattolici e neofascisti, e anche dal Movimento Cinque Stelle allora al governo con la Lega, prendendo di mira, appunto, in particolare il Partito Democratico, accusato di legami con pedofilia e traffico di minori.
In questo contesto, sempre Leonardo Bianchi ha spiegato come si sia sviluppato un altro filone di disinformazione, legato alla presunta “congiura del silenzio”. Questa narrativa è diventata virale grazie allo slogan “Parlateci di Bibbiano”, coniato da CasaPound e rapidamente rilanciato da politici di destra, giornalisti e personaggi dello spettacolo.
Matteo Salvini si diceva addirittura disposto a «dare la vita» pur di «riportare a casa i bambini strappati alle famiglie», e il cantante Nek pubblicava sui social foto di striscioni di CasaPound che invocavano «giustizia» per le famiglie distrutte, mentre alcuni deputati e commentatori legavano il caso a un fantomatico «complotto gender» contro la famiglia tradizionale, un tema diventato ormai un’ossessione per ultracattolici e conservatori.
Giorgia Meloni si recò più volte a Bibbiano chiedendo «pene esemplari» per gli «orchi», ma alla fine nessuno dei leader politici proseguì nell’impegno, e le assoluzioni degli imputati passarono quasi inosservate.
L’episodio, però, ha creato un modello narrativo che può essere adattato ad altri casi e la “famiglia nel bosco” ha rappresentato una nuova occasione per attuarlo.
Ad esempio il segretario della Lega e vicepresidente del Consiglio dei ministri Matteo Salvini si è esposto sulla vicenda, parlando addirittura di «sequestro» dei bambini e attaccando la magistratura. La Lega ha strumentalizzato il caso per continuare a parlare della separazione delle carriere dei magistrati, una riforma che sarà oggetto di referendum confermativo la prossima primavera e che punta a distinguere nettamente i percorsi professionali tra giudici e pubblici ministeri. La separazione delle carriere, in questo caso, tuttavia, non c’entra nulla. La vicenda della “famiglia nel bosco”, infatti, riguarda la tutela minorile e non evidenzia anomalie legate alla non-separazione delle carriere, che non incide su procedimenti minorenni.
E anche questa volta la destra si è violentemente scagliata contro le istituzioni coinvolte nella decisione di allontanare i figli dai genitori “del bosco”. In questo caso, la presidente del Tribunale per i minorenni dell’Aquila, Cecilia Angrisano, è stata vittima di insulti e minacce ed è stata addirittura accusata di essere una «violentatrice legalizzata», mossa dall’ideologia gender e dal comunismo, come ha sostenuto, ad esempio, il senatore leghista Alessandro Morelli in un post su X. Come nel caso di Bibbiano, anche la vicenda della “famiglia nel bosco” è stata definita parte di «un sistema demoniaco» che finge di proteggere i bambini.
Questa volta è stato tirato in ballo anche George Soros, protagonista di una paranoia complottista che dura ormai da anni. In un post pubblicato su X un utente, complottista e di estrema destra, racconta che nel 2011 Cecilia Angrisano prese parte a un convegno organizzato dall’Associazione Antigone, sostenuta dalla Open Society Foundations, una rete internazionale di fondazioni private fondate da George Soros, che finanzia organizzazioni della società civile per sostenere i diritti umani, la giustizia, la democrazia e la trasparenza in tutto il mondo. Questa sola partecipazione della presidente del Tribunale per i minorenni dell’Aquila, è stata sufficiente perché finisse inserita nelle teorie complottiste che la dipingono come una “burattina” finanziata dal magnate ungherese-statunitense.
La comparazione con le famiglie Rom
Infine, nella strumentalizzazione del caso non è mancata la comparazione con le famiglie Rom e la gestione dei minori. Sempre il segretario leghista Matteo Salvini ha annunciato che intende presentare «un’interrogazione urgente» al ministro della Giustizia Carlo Nordio perché la «scelta da parte del Tribunale di affidare i minori ad una comunità, benché non ci fossero notizie di maltrattamenti nei loro confronti, richiede assoluta chiarezza, specialmente in un Paese in cui si sentono raramente casi di bimbi tolti alle famiglie in contesti di illegalità, come i campi Rom».
A queste dichiarazioni la giunta aquilana dell’Associazione nazionale magistrati (Anm) aveva risposto di ritenere «inopportuno ogni tentativo di strumentalizzazione di casi che, per la loro particolarità, suscitano l’attenzione dei cittadini e dei media, ricordando che la delicatissima materia nell’ambito della quale operano i colleghi in servizio presso le Procure e i Tribunali per i Minori merita rispetto e attenzione».
Ma a fare da eco a Salvini ci sono state altre figure politiche. Il sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, Giovanbattista Fazzolari, di Fratelli d’Italia, ha ribadito che esistono «situazioni di bambini molto più estreme, come quelli costretti a fare accattonaggio, piccoli furti o a vivere in contesti degradati come quelli dei campi rom». E ancora, secondo il deputato della Lega Rossano Sasso essere rom in Italia sarebbe addirittura un privilegio. Sasso ha infatti dichiarato che se i genitori della “famiglia nel bosco” fossero stati di etnia rom, «nessuno avrebbe detto loro nulla; anzi, li avrebbero giustificati».
Prima di tutto è importante sottolineare che da anni, in Italia come altrove, rom e sinti sono bersaglio di stereotipi radicati, frutto di luoghi comuni, informazioni distorte e politiche che hanno spesso rafforzato l’emarginazione invece di promuovere l’inclusione. Secondo una ricerca pubblicata nel 2019 dal centro studi statunitense Pew research center l’Italia è il Paese europeo con la più forte ostilità nei confronti delle persone rom, dove circa otto persone su dieci dichiarano di avere un’opinione negativa su questa minoranza etnica.
Nel suo report più recente, pubblicato nell’aprile 2025, l’Associazione 21 Luglio, un’organizzazione no-profit che si occupa della tutela dei diritti umani, in particolare quelli delle comunità rom e sinte, e del benessere dell’infanzia, ha parlato dell’antiziganismo come «un fenomeno diffuso e pervasivo che ostacola l’inclusione dei rom e sinti» e lo considera come una «madre di tutti i mali» che si riflette in ogni ambito della società, dalla politica alla vita di tutti i giorni.
Pur essendo già la minoranza etnica più colpita da discriminazioni in Italia, il modo in cui si punta il dito contro i rom sul tema della gestione dei figli è discriminatorio e fuorviante.
Le condizioni abitative instabili dei campi rom, insieme ad alcuni episodi di microcriminalità, hanno alimentato nel tempo stereotipi e pregiudizi contro questa comunità. Tra questi rientra anche quello portato avanti da Salvini e altri politici secondo cui i minori rom che vivono in condizioni non consone alla legge non verrebbero quasi mai allontanati dalle loro famiglie. In realtà l’idea che i servizi sociali non intervengano mai nelle famiglie rom è infondata. Quando ci sono rischi per i minori, gli allontanamenti avvengono. Il primo ottobre 2025, dieci bambini del campo rom di via Selvanesco, a Milano, sono stati trasferiti in comunità protette per gravi carenze igieniche, dopo verifiche svolte dalla polizia locale e dai servizi sociali. In passato altri minori rom sono stati allontanati dalle loro famiglie. Un rapporto dell’Associazione 21 luglio ha stimato 117 bambini rom adottabili nel Lazio tra il 2006 e il 2012.
Carlo Stasolla, presidente dell’Associazione 21 luglio, ha spiegato a Pagella Politica che l’organizzazione ha mostrato «che i bambini e le famiglie rom non sono esenti all’allontanamento, anzi spesso scontano una situazione di degrado che li rende ancora più facilmente soggetti a questo provvedimento rispetto agli altri bambini», aggiungendo che «dovrebbero essere le istituzioni a impegnarsi a superare questa situazione, superare il modello dei campi rom, e dare la possibilità a queste famiglie di vivere alla pari delle altre».
Sempre a Pagella Politica, Carla Solinas, professoressa di Diritto privato all’Università di Roma Tor Vergata, ha definito il parallelismo tra il caso della “famiglia nel bosco” e le famiglie rom fuorviante. «Nel diritto di famiglia e nella gestione dei casi che riguardano la responsabilità genitoriale ogni caso è a sé stante. Non è possibile generalizzare sostenendo che, se i bambini sono stati tolti a questa famiglia, allora bisogna toglierli per forza anche alle famiglie rom», ha concluso la professoressa.
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