
Sul caso Epstein Trump si è giocato il sostegno dei “bro”
Il presidente degli Stati Uniti era riuscito a intercettare il voto dei giovani maschi grazie a podcaster e influencer di destra, ma qualcosa sta cambiando
«Potrei sparare sulla fifth avenue di New York e non perderei voti». Donald Trump ha pronunciato questa frase in un comizio durante le primarie repubblicane nel 2016, e fin da subito è stata utilizzata per esemplificare il concetto che, qualunque scivolone facesse o inchiesta si aprisse nei suoi confronti, il sostegno dei suoi sostenitori sarebbe rimasto invariato. Tra quel momento e oggi sono successe un po’ di cose: un mandato presidenziale, terminato con il tentativo di colpo di Stato del 6 gennaio da parte dei suoi sostenitori ed estremisti di destra, e una condanna definitiva nel caso Stormy Daniels, per la quale non gli è stata inflitta alcuna pena. Niente di tutto questo, in ogni caso, ha modificato l’opinione dei suoi elettori.
Oggi, però, qualcosa sta iniziando a cambiare: prima il bombardamento sull’Iran e poi la volontà di non rendere pubblici molti materiali che il governo ha in suo possesso sul caso del pedofilo e adescatore di minorenni Jeffrey Epstein, il cui suicidio in carcere nel 2019 è al centro di svariate teorie cospirazioniste alimentate per la maggior parte proprio da ambienti repubblicani MAGA, ha incrinato la fede granitica dei supporter.
La principale teoria del complotto riguardante Epstein ha a che fare con la sua “lista”. L’imprenditore, secondo i complottisti, avrebbe procurato ragazze minorenni a vari personaggi dell’establishment democratico, e avrebbe redatto una lista di tutti i loro nomi, tra cui spiccherebbe quello dell’ex presidente Bill Clinton. Epstein sarebbe quindi stato ucciso in carcere per far sì che non rivelasse i nomi dei pedofili alla giustizia, e il compito di Trump sarebbe dovuto essere quello di portare alla luce la verità.
La teoria funziona per un motivo particolare: si innesta in un generale clima di sfiducia verso le élite, culminata col discorso di Trump all’inaugurazione del suo primo mandato presidenziale nel 2017, in cui promise di «bonificare la palude» di Washington, e nella credenza comune che l’establishment sia sempre e inevitabilmente corrotto. D’altronde, il presidente ha sempre strizzato l’occhio a queste teorie: la narrazione perseguita è quella dell’esistenza del cosiddetto deep state, un potere segreto che farebbe capo all’establishment democratico che Trump avrebbe cercato in ogni modo di distruggere. Tutte le cose che gli sono quindi capitate, dai tentativi di impeachment alla condanna, non sarebbero stati altro che un tentativo del contropotere di Washington di metterlo fuori dai giochi per aver provato a rovesciarlo.
Nel momento in cui la segretaria alla Giustizia Pam Bondi a inizio luglio 2025 ha rilasciato la nota in cui ammetteva il suicidio di Epstein e negava di rendere pubblici ulteriori materiali sul caso, è nato un terremoto interno al movimento MAGA. Le rivelazioni successive contenute in due scoop del Wall Street Journal, secondo cui Trump avrebbe disegnato una donna nuda su un biglietto d’auguri per il cinquantesimo compleanno di Epstein e che il nome del presidente era presente, insieme a molti altri, tra i documenti che il governo possiede sul caso e che non vuole rendere pubblici, hanno amplificato la richiesta di chiarimenti dei repubblicani stessi.
Nonostante Trump abbia cercato in ogni modo di sviare il discorso, incolpando nuovamente i democratici di aver diffuso notizie false e citando in giudizio per la cifra record di dieci miliardi di dollari il Wall Street Journal, la bufera sembra ben lungi dal placarsi. E proviene sia da alcuni politici eletti tra le fila repubblicane, sia dagli influencer dell’alt-right vicini al mondo trumpiano, sia da quei podcaster che si riconoscono nei valori conservatori e hanno sostenuto Trump alle ultime elezioni, convincendo parte del loro seguito. Pur non appartenendo direttamente all’alt-right, questi orbitano attorno a un ecosistema mediatico che è stato definito “manosfera”: critici verso il femminismo, le politiche di diversità, equità e inclusione e quindi contrari alla sinistra contemporanea che le rappresenta.
Per ottenere la vittoria nel secondo mandato, Trump non ha potuto fare affidamento solo sui suoi votanti abituali, dato che nel 2020 questi non era bastati per restare alla Casa Bianca. Uno dei gruppi in cui ha maggiormente guadagnato supporto sono i giovani uomini con idee anti-establishment, libertarie e spesso palesemente anti-femministe che, indecisi se andare a votare o meno, hanno scelto di sostenere Trump anche per via degli endorsement fatti dai principali podcaster uomini del Paese, come Joe Rogan, Theo Von e Andrew Schulz.
La forza di queste persone è che, a differenza degli influencer dell’alt-right, non producono contenuti prettamente politici, ma inseriscono la loro visione del mondo – che non è sempre pienamente sovrapponibile a quella del Partito Repubblicano – in lunghe conversazioni con i loro ospiti. Per fare un esempio, Joe Rogan, il cui podcast The Joe Rogan Experience è uno dei più ascoltati al mondo, ha ospitato recentemente il senatore socialista Bernie Sanders e ha rivelato di essere favorevole all’innalzamento del salario minimo federale statunitense, oggi fermo alla cifra bassissima di 7.25 dollari l’ora. Consigliato dal figlio più giovane Barron, Trump si è fatto intervistare da ognuna di queste persone – a differenza di Harris, che ha invece rifiutato un’intervista con Rogan – e ha fatto una buona impressione, soprattutto riguardo i temi della cosiddetta “cultura woke” e sulla promessa di tenere gli Stati Uniti lontani da ogni conflitto. Così facendo, Trump ha ottenuto l’endorsement dei podcaster e si è garantito un bel pezzo del loro seguito.
Tale fedeltà, comunque, sembrava tutt’altro che cieca e incondizionata – e si è rivelata piuttosto fragile di fronte alle promesse elettorali disattese da Trump. La decisione di bombardare i siti nucleari iraniani in sostegno a Israele è stata vista come un tradimento: l’uomo lontano dal deep state, che doveva liberare gli Stati Uniti dal giogo del complesso militare-industriale, si era alla fine mosso come un qualsiasi altro presidente degli anni passati. Andrew Schulz, stand-up comedian e conduttore del podcast The Brilliant Idiots ha apertamente ammesso che «il presidente fa l’opposto di quello per cui lo abbiamo votato: finanzia le guerre, dopo aver detto di volerle terminare e fa salire il debito pubblico». Joe Rogan, invece, si è dichiarato insofferente verso le incarcerazioni degli immigrati irregolari: Trump aveva parlato di una stretta contro i criminali, condivisa dalla maggior parte del Paese, non di colpire onesti lavoratori senza alcun procedimento penale a carico. Theo Von, un altro podcaster precedentemente schierato con Trump, ha invece battuto a lungo sul caso Epstein, e non appena la Casa Bianca ha ammesso che non avrebbe reso pubblico materiale nuovo, ha ripubblicato un’intervista fatta al vicepresidente Vance mesi prima in cui questi sottolineava la necessità di rilasciare la lista.
Un’altra categoria delusa da Trump è quella della galassia di influencer dell’alt-right che ha sostenuto il presidente fin dall’inizio. Per queste persone il rilascio di materiale riguardante Epstein rappresentava il simbolo della volontà di quest’amministrazione di combattere contro Washington: non farlo rende Trump colluso con quel deep state che avrebbe dovuto sconfiggere. Jack Posobiec, uno dei principali complottisti del Pizzagate, la teoria secondo cui Hillary Clinton avrebbe gestito una tratta di bambini nel seminterrato di una pizzeria di Washington, ha cercato di mantenere viva l’attenzione sul caso Epstein proprio per evitare che Trump cambiasse discorso. Così hanno fatto anche altri influencer di destra estrema, come Laura Loomer, che ha affermato che «questa cosa consumerà la presidenza», e l’influencer e cospirazionista Candace Owens, recentemente citata in giudizio da Emmanuel Macron per la bufala secondo cui la moglie Brigitte sarebbe in realtà un uomo. Owens ha affermato che «comportandosi così, Trump ritiene la sua base stupida».
Caso ancora più interessante è quello di Tucker Carlson, ex anchorman di Fox News e successivamente creatore di contenuti di destra estrema, da sempre vicinissimo al presidente e pronto a sostenerlo durante il golpe del 6 gennaio, avendo portato avanti la tesi falsa secondo cui Biden avrebbe rubato le elezioni del 2020. Oggi Carlson critica aspramente la Casa Bianca. Isolazionista convinto, e molto vicino alle posizioni di Vladimir Putin, che ha intervistato lo scorso anno, è stato durissimo dopo i bombardamenti sull’Iran. In un’intervista al senatore repubblicano Ted Cruz, diventata virale nei giorni successivi all’attacco, Carlson ha cercato di dimostrare che l’ala repubblicana interventista in realtà non conosce i Paesi che attacca e ha accusato direttamente AIPAC, la lobby pro-Israele che finanzia molti politici repubblicani, di essere niente più che un agente straniero. Su Epstein, invece, ha affermato che sarebbe «abbastanza chiaro che non si è suicidato» e che il pubblico «vorrebbe conoscere la verità».
Trump ha utilizzato queste persone per arrivare al potere e ha flirtato con la narrazione che vedeva Washington preda di un gruppo di corrotti che solo lui poteva sconfiggere. Ha ritenuto di poter usare tutto questo a suo vantaggio, convinto della sua invulnerabilità. Mentre cerca in ogni modo di cambiare discorso e allontanare il dibattito su Epstein dal ciclo delle notizie, è paradossale come siano proprio i suoi sostenitori a non permetterglielo: secondo questi, Trump non starebbe più sfidando il sistema: lo starebbe proteggendo.
- Questo video non mostra una folla festante che accoglie Donald Trump in ScoziaQuesto video non mostra una folla festante che accoglie Donald Trump in Scozia
- Queste foto di Trump con giovani ragazze sul jet di Epstein non sono realiQueste foto di Trump con giovani ragazze sul jet di Epstein non sono reali